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Deportato per 6 mesi a Bolzano. Settant'anni dopo per Agostino Catti arriva la medaglia d'onore del Quirinale

Agostino Catti (foto gonews.it)

Si salvò da una prigionia di sei mesi in un 'campo di smistamento' a Bolzano, tornando verso casa a piedi dopo giorni di viaggio. A settant'anni da allora, la prefettura di Firenze renderà omaggio ad Agostino Catti conferendo alla memoria la medaglia d'onore della Presidenza della Repubblica. La cerimonia è in programma martedì 27 gennaio alle 17 a Firenze, al Memoriale di Santa Croce di largo Bargellini.

Agostino Catti, classe 1924, ha vissuto gran parte della propria vita in Toscana, in particolar modo a Limite sull'Arno (Capraia e Limite), pur essendo originario dell'appennino reggiano, Villa Minozzo per la precisione. Venuto a 15 anni a lavorare nell'Empolese, negli anni della guerra fece ritorno nel paese natale e si unì ai partigiani. Successivamente venne prelevato dai nazisti e, dopo due giorni di detenzione in caserma a Parma, fu inviato a Bolzano dove restò sei mesi, fino alla fine del 1944.

La storia viene resa nota dal figlio Maurizio, dipendente del Comune di Capraia e Limite, il quale è stato invitato dalla prefettura a ritirare il riconoscimento. Fu la fisicità ad aiutare Agostino a superare quei durissimi mesi in cui perse ben 50 chili. I tedeschi lo inserirono in una squadra di manovali che si occupava della costruzione di capannoni.

“Quando potevano riuscivano a portare del cibo anche alle persone che condividevano la prigionia – racconta Maurizio Catti a gonews.it – in particolare quando avevano accesso a un deposito di materiali per la carpenteria in cui, da una parte, erano stoccate mele e patate. Con gli altri riempiva i pantaloni di cibo per portarlo al campo. Il sorvegliante tedesco si voltava per far finta di non notare la scena”.

Un dettaglio non di poco conto: “Mio padre è riuscito a perdonare – prosegue – e mi colpì il fatto di non avergli mai sentito parlar male delle persone che erano nei campi di concentramento”.

Agostino Catti riuscì a fuggire appena gli fu possibile. Rientrò a Villa Minozzo tornando a piedi dall'Alto Adige, successivamente rientrò in Toscana dove si è poi costruito una famiglia. Si è spento nel 2010.

“Dopo tanto tempo in cui c'è stata 'omertà' mi fa piacere che qualcosa sia successo – commenta il figlio Maurizio relativamente alla comunicazione della prefettura – ora spero si faccia davvero di tutto per non dimenticare le torture di allora, che uomini hanno inflitto ad altri uomini per annientarli”.

Speriamo che anche la valorizzazione di storie come questa possa contribuire a mettere un seme per non lasciar correre la memoria e coltivarla anche a settant'anni di distanza.

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