Marco Belinelli alla Casa Bianca con i San Antonio Spurs

Alla tradizionale cerimonia riservata ai vincitori del torneo NBA, il presidente Barack Obama ha scherzato con i campioni ed elogiato l'atleta azzurro


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Non è passata inosservata l’assenza della delegazione americana alla manifestazione parigina di domenica scorsa, dopo l’efferato attacco terrorista contro la redazione di Charlie Hebdo. La Casa Bianca si è giustificata dicendo che il presidente Obama non intendeva rubare la scena agli alleati francesi ed europei, salvo poi ammettere che almeno l’invio di un rappresentante di alto livello sarebbe stato opportuno.

Barack Obama ha invece trovato il tempo per presenziare al tradizionale incontro che l’inquilino della Casa Bianca concede annualmente alla squadra vincitrice del campionato NBA, nel quadro delle cerimonie riservate ai campioni dei diversi sport professionistici degli Stati Uniti d’America. Un evento di pura facciata, però tanto futile quanto divertente, se il ghostwriter di turno ha preparato un discorso scoppiettante e ironico. Che è stato per l’appunto il caso di lunedì scorso, quando sono stati i San Antonio Spurs a venir onorati nella East Room della residenza di Washington, con il presidente che ha interpretato con invidiabile talento comico le note preparategli dall'ufficio stampa.

Il presidente Obama riceve in dono la maglia degli Spurs

Il presidente Obama riceve in dono la maglia degli Spurs

Obama è partito subito all’insegna dell’arguzia, allorché ha confidato di aver considerato l’ipotesi di rinunciare all’incontro per arrivare fresco all’appuntamento con il rituale discorso sullo Stato dell’Unione, così canzonando e omaggiando al tempo stesso la sapiente abitudine di coach Greg Popovich di centellinare l’impiego delle sue stelle durante la stagione regolare, in ragione della loro non più tenera età. Proprio l’avere di fronte una squadra di “vecchietti” ha offerto al presidente, noto tifoso dei Chicago Bulls, il destro per confessare un debole per la franchigia texana e, rivolgendosi al quasi quarantenne Tim Duncan, vincitore di 5 titoli NBA in tre decadi diverse e a cui spunta ormai qualche capello grigio sulle tempie, per lodare la loro lunga permanenza ai massimi livelli. Del resto, ha chiosato con un impeccabile senso dell’umorismo: «Ci deve pur essere una ragione se i colori degli Spurs sono il nero e l’argento!».

I San Antonio Spurs hanno meritato l’ennesimo invito dopo la spettacolare riconquista del titolo della scorsa primavera, ottenuta in cinque partite contro i Miami Heat di LeBron James, sepolti sotto una media di distacchi record per una finale NBA. La vittoria è stata tanto più soddisfacente perché venuta dopo la dolorosa sconfitta dell’anno precedente, contro i medesimi avversari. Nel 2013, gli Spurs erano avanti 3-2 nella serie al meglio delle sette partite e, sul parquet dei rivali della Florida, conducevano di 5 punti a soli 28’’ dalla sirena: un paio di liberi sbagliati e l’incomprensibile decisione di Popovich di tenere in panchina Duncan nelle azioni difensive, condussero al pareggio degli Heat, che sfruttarono il dominio a rimbalzo e i tiri da tre per forzare la gara al supplementare, dove i texani sprecarono troppi palloni e infine cedettero sul filo di lana. La partita decisiva si giocò ancora a Miami e i padroni di casa chiusero abbastanza agevolmente, conquistando il campionato.

Obama ha perciò elogiato la tenacia, la costanza e l’inaspettata duttilità degli Spurs, il cui riscatto è giunto al termine di una stagione in cui i suoi campioni attempati, riuniti nel celebre Big Three composto dal già citato Duncan, dall’argentino Manu Ginobili e dal francese Tony Parker, hanno guidato i compagni a un radicale cambiamento di stile: ritenuti già in parabola discendente e quindi prevedibili e noiosi, si sono dotati di un nuovo gioco di stampo altruistico, basato su un'insistente circolazione di palla all'ossessiva ricerca dell'uomo meglio smarcato, diventando freschi ed eccitanti: «Più o meno, la traiettoria opposta di ogni presidente!», ha scherzato Obama.

Gli Spurs sono noti anche per essere la franchigia più internazionale della panorama yankee, avendo in rosa ben 9 giocatori non americani. Perciò il presidente li ha giustamente definiti una sorta di squadra delle Nazioni Unite. La proiezione esterna del campionato NBA è massimamente apprezzata dai vertici americani, perché vende all’estero un marchio globale che rimanda ai valori e ai principi sportivi, sociali, economici e politici statunitensi. D’altra parte, gli stranieri, benché raddoppiati rispetto al torneo d’esordio del nuovo millennio, sono soltanto il 28% dei giocatori impiegati e non rischiano di mettere a repentaglio la sopravvivenza degli atleti indigeni, come invece avviene nel campionato italiano, nel quale i nativi sono appena il 26% del totale. Non a caso, chi può va all’estero, come Marco Belinelli, il bolognese che dopo vario peregrinare sembra aver trovato la dimensione ideale proprio in Texas. Obama gli si è rivolto con nostalgia, notando che i suoi Bulls ne rimpiangono le prestazioni, essendosene liberati troppo in fretta dopo una stagione più che lusinghiera.

Belinelli con il trofeo che spetta ai campioni NBA

Belinelli con il trofeo che spetta ai campioni NBA

Qui è giunta un’altra sottolineatura della grandezza degli Spurs, che paiono trovare il posto giusto per ognuno. Nonostante Duncan, Parker e Ginobili siano il trio che ha vinto insieme più partite di playoff nella storia della pallacanestro a stelle e strisce, la forza dei texani sta proprio nella profondità della panchina, nella capacità di coinvolgere ed estrarre il meglio da ogni membro del cosiddetto supporting cast. Soprattutto, come nel caso di Belinelli, eccellono nel valorizzare atleti che non hanno avuto grandi opportunità altrove, scovando la chiave giusta per farli brillare nel loro quintetto. In questo senso, «rappresentano una grande metafora di quello che l’America dovrebbe fare», ha commentato Obama, lesto a evidenziare un’altra benemerenza di San Antonio, che è diventata la prima squadra maschile ad affidare la responsabilità della guida tecnica a una donna, avendo assunto Becky Hammon come assistente allenatore, ponendola a fianco dell’altro italiano Ettore Messina, che ricopre il ruolo di vice-Popovich.

Becky Hammon ed Ettore Messina durante una partita dei San Antonio Spurs

Becky Hammon ed Ettore Messina durante una partita dei San Antonio Spurs

Nell’augurare il meglio alla franchigia anche per la corrente stagione, il rieletto presidente ha chiuso con la migliore battuta della serata: «Se avete bisogno di qualche consiglio su come ripetere il vostro successo, sapete dove trovarmi!».

Forse ancora emozionati per l’incontro con Obama, ieri gli Spurs hanno tuttavia perso contro Washington per la prima volta dal 2005.