La Patria e lo Stato: il problema dei popoli in lotta in un incontro sulla situazione Israelo Palestinese a Empoli

Il muro a Betlemme (foto di Camilla Caparrini)

Un conflitto asimmetrico e con scarse possibilità di uscita, se non si inizia a osservare il punto di vista dall’ottica dei diritti e non dello Stato, inteso come possesso di territorio. Il quadro emerso da un incontro organizzato a Empoli dall’associazione Lilliput sulla questione israelo-palestinese non è certo dei più rosei.

Per iniziare a trattare la questione si parte da alcuni numeri che l’occupazione dei territori palestinesi da parte di Israele porta con sé: 250 insediamenti di coloni (veri e propri quartieri-città costruiti all’interno dei territori palestinesi) nei quali vivono circa 600mila persone, 760 km di muro di divisione in Cisgiordania (alto 9 metri), 600 checkpoint, posti di blocco controllati da militari israeliani che i palestinesi devono attraversare ogni giorno per recarsi a pregare, a lavorare, a trovare un parente.

Giorgio Gallo, docente all’Università di Pisa e attivo in associazioni di solidarietà internazionale, ha analizzato la situazione sotto vari punti di vista.
“Il conflitto – ha spiegato – è asimmetrico quando le parti si trovano su posizioni irrimediabilmente differenti, come in questo caso”.
Varie le cause di questa asimmetria: la frammentazione del popolo palestinese (tra Hamas e i territori della Cisgiordania divisi a loro volta dal muro fatto costruire da Israele), la distruzione della società e della politica, nonché ragioni di tipo economico.

“La strategia di Israele è quella di distruggere la società, in modo che il popolo palestinese non possa organizzarsi e ribellarsi. Le giovani generazioni sono meno politicizzate e non rappresentano un pericolo per Israele. La strategia infatti è quella di portare avanti i colloqui di pace, ma distruggere nel frattempo la coscienza politica”.

Anche la dimensione economica è importante: “In Palestina esistono tra le 1500 e le 2000 Organizzazioni non Governative che creano un mercato del lavoro falsato. Per Israele la Palestina è comunque un mercato e anche una piccola elite palestinese è legata all’occupazione israeliana”.

L’occupazione ha completamente distrutto l’economia palestinese: l’agricoltura un tempo florida è praticamente morta e rappresenta l’1% del budget dello Stato. “Il 26% sta sotto il capitolo ‘sicurezza’ che significa principalmente sicurezza di Israele nel mantenimento dello status quo”.

Un elemento positivo nella complessa situazione sta però nel sostegno che a livello internazionale sta iniziando a mancare a Israele: “Ci sono dei piccoli segnali: dal riconoscimento della Svezia, al passaggio della questione in alcuni parlamenti europei, fino a delle vittorie dei movimenti di boicottaggio (con il Bds, associazione che promuove boicottaggi, disinvestimenti e sanzioni a Israele)”.

Dei metodi per contribuire alla solidarietà con la Palestina esistono: “Tanti giovani – ha detto Mohamud Ahmed, presidente dell’associazione di solidarietà italo-palestinese di Firenze, profugo e arrivato in Italia nel 1978 – partecipano a missioni per proteggere i palestinesi, sia nella raccolta delle olive, sia nell’accompagnare i bambini a scuola. Altro sistema è quello del boicottaggio, per tentare di promuovere un ‘effetto Sud Africa’, principalmente rispetto ai prodotti che provengono dalle colonie. Sul sito di Bds c’è una lista di prodotti da boicottare”.

Gli aiuti, anche per Mohamud, contano fino a un certo punto: “Il problema della Palestina è politico, non umanitario. E’ vero che l’apartheid che viviamo crea anche povertà e problemi economici e per questo come associazione promuoviamo adozioni a distanza. Senza occupazione i palestinesi avrebbero tutte le carte in regola per stare bene”.

La serata si conclude con l’introduzione di un modo diverso di vedere questo conflitto che, come altri riguarda popoli oppressi che hanno negli anni fatto della riconquista della propria terra, un cavallo di battaglia nelle proprie lotte.

“Lo stato è il grande problema, - ha concluso il professor Gallo - così come il concetto di Patria che ha provocato nei secoli danni e guerre. Se iniziassimo a pensare in termini di diritti e di giustizia, si potrebbero forse risolvere molti problemi, tra cui quello palestinese”