
Il giorno 28 novembre 2014, i Ministeri dell’Economia, dell’Interno e delle Politiche Agricole hanno varato un decreto che è stato pubblicato sul siti web del Ministero delle Finanze il giorno 1 dicembre. Tale decreto dà attuazione all’art. 22 del decreto legge 66/2014 che il governo Renzi aveva varato il giorno 24 aprile 2014, cioè appena due mesi dopo la manovra di palazzo che lo ha portato al governo.
La storia è fatta di corsi e ricorsi, spesso infelici. Con tale legge l’Italia torna indietro di oltre 140 anni, quando il governo di un’Italia ancora senza Roma, sotto la guida di Quintino Sella, ministro di una maggioranza conservatrice con sfumature di sinistra, istituì la “tassa sul macinato”, ricordata come uno dei massimi esempi di menefreghismo sociale e spregio delle classi meno abbienti. Il governo Renzi, dimostrando scarso acume politico e incuranza delle condizioni sociali e umane in cui versa il Paese, torna al sistema più vecchio del mondo: far pagare le tasse a chi da mangiare alla gente e salvaguardia il Paese.
Negli ultimi anni, quando una crisi provocata dal mondo della finanza e dalle classi più agiate a danno dei lavoratori dei settori resi sempre più indifesi da leggi liberticide, il mondo agricolo ha svolto un servizio sociale indiscusso, soprattutto nel sud Europa. Molti che avevano perso lavoro a causa della crisi e delle dislocazioni estere, hanno trovato sollievo nel mondo agricolo, il quale si è assunto l’onere di portare avanti la difesa del territorio, dell’economia, del turismo, e dell’ambiente facendosi carico anche dei sempre più disperati e disoccupati generati da un sistema di sviluppo e disvalori che non regge più l’attacco di una modernità senza regole di giustizia. Tra questi, qualcuno più fortunato è stato assunto, altri hanno lavorato a periodi, a giorni, alla necessità. Il sistema agricolo italiano ha cioè svolto il compito che i governi degli ultimi 20 anni hanno fallito: mantenere, gestire, riparare.
Con la nuova tassa sul pane pagheranno tutti i proprietari di terreni agricoli sotto i 280 metri di altitudine, mentre tra i 281 e i 600 metri sono esentati solo i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli professionali. Quindi, proprio laddove si produce il grano, la coltivazione meno redditizia tra quelle agricole, ma dall’elevato valore sociale e umano, ma anche simbolico oltre che sostanziale, là si deve pagare la tassa agricola. Non solo, dove l’agricoltura comincia a farsi più difficile, tra i 280 e i 600 metri, e molti agricoltori devono obbligatoriamente avere un altro lavoro che li aiuti a sostenere la famiglia, questi dovranno pagare perché non potranno contemporaneamente essere coltivatori diretti o imprenditori.
E’ un dato che in Italia, per sua struttura e cultura millenaria, la superficie media delle aziende sia molto piccola, in media poco meno di 8 ha. Una superficie spesso insufficiente a produrre un reddito familiare adeguato. Quando Renzi ha stabilito le soglie dei 280 e 600 metri, forse gli è sfuggito che lì è proprio dove si coltiva il grano, la vite e l’olivo, è lì dove gli sforzi per mantenere il sistema agricolo nel suo complesso sono i più alti e i meno redditizi. A questi, che sono eroi più che coltivatori, viene richiesto l’ultimo sacrificio: pagare per produrre grano, vino, olio. I prodotti che ci invidiano in tutto il mondo e che, speriamo, ci daranno lustro all’EXPO 2015.
O forse Renzi, l’attento comunicatore, lo sapeva e per questo il decreto è stato pubblicato solo sul sito del Ministero delle Finanze. Giusto per vedere le reazioni. Che non sono mancate dal mondo politico, agricolo, economico, associativo, ambientalista, accademico. Poche volte come in questo caso si è assistito ad un blocco di proteste proveniente da tanti settori. A oggi che il decreto è stato congelato, non è vero che i deputati PD ci hanno ripensato, come è stato annunciato, ma è vero che molti deputati PD sono stati costretti a ripensarci per timore di tornare nei loro collegi elettorali, dove li aspettavano i loro elettori traditi. Molto è stato il lavoro sotterraneo svolto dalle minoranze del parlamento, e su questo SEL non ha mancato di appoggiare ogni azione parlamentare che andasse nella direzione dell’abolizione del decreto.
Purtroppo, non ce l’abbiamo fatta del tutto. Qualcosa però il blocco della protesta ha ottenuto: il congelamento della tassa fino al 2015. Attenzione però, a Renzi non è tornato il senno, è stato convinto solo dal fatto che la scadenza del pagamento fissata al 16 dicembre 2014 era troppo a ridosso e avrebbe provocato una crisi nel sistema di riscossione simile solo a quella che è riuscito a organizzare lo scorso settembre per la scuola, che è iniziata tra enormi problemi proprio a causa del Governo, che ha promulgato un decreto e poi lo ha ritirato.
SEL appoggerà qualunque tipo di manifestazione, azione e protesta che miri a ristabilire giustizia fiscale nel mondo agricolo, quest’anno già provato anche dalla riduzione delle produzioni causate da un particolare andamento meteorologico. Vorremmo stabilire un principio: il mondo agricolo e il settore primario in generale, per le funzioni sociali ed ambientali dirette e indirette che svolge ha bisogno di attenzioni, non vessazioni.
Gli agricoltori non possono tollerare più, pena la loro definitiva scomparsa, tasse inique e disattenzioni da parte del sistema. Per decenni abbiamo assistito inermi a usurpazioni e espropri a danno del settore agricolo, in zone vocate all’agricoltura e alla zootecnia, per favorire speculazioni edilizie o false necessità quali quelle di servizi sociali inesistenti. Il limite è colmo e la natura ce lo dimostra con alluvioni, frane, morti. Il mondo agricolo e zootecnico non possono essere più espropriati, spogliati delle loro funzioni essenziali per tutti.
Se il governo è interessato solo alla ricerca di soldi per quadrare bilanci, vada a cercarli laddove i soldi ce ne sono, e hanno messo in crisi l’intera società per bramosia di potere e smania di arraffo: le banche, l’evasione e il riordino fiscale, il contrasto alla criminalità mafiosa.
Se le amministrazioni locali sono alla ricerca di voti per riparare al disinteresse e al malgoverno del territorio degli ultimi decenni, non procedano con espropri inutili e dannosi per l’ambiente e il comparto agro-zootecnico. Provino a riguadagnare la fiducia dei cittadini con una politica attenta ai localismi, alla cultura e alla natura del territorio e troveranno il consenso che cercano.
Quanto costerà. Il calcolo dell’ammontare dell’IMU agricola è un altro elemento di criticità a causa della difficoltà dell’individuazione dell’aliquota di riferimento nel caso il Comune non abbia deliberato un’aliquota specifica. Ecco alcune ipotesi possibili ad oggi.
A) Se il Comune ha previsto un’aliquota ordinaria o residuale per gli immobili non ricompresi in precedenti categorie, sarà questa l’aliquota di riferimento per il calcolo dell’IMU agricola.
B) Al contrario, se il Comune non ha previsto un’aliquota residuale oppure manca la delibera, l’aliquota di riferimento è quella stabilita dal D.L. n. 201/2011, pari al 7,6 per mille.
C) L’aliquota del 7,6 per mille è applicabile anche se il Comune ha deliberato l’esenzione sui terreni in mancanza del presupposto.
Per il calcolo dell’imposta rimane invariato il computo della base imponibile che dovrà essere determinata in base alle regole ordinarie: si parte dal reddito dominicale rivalutato del 25% e moltiplicato per 135 (oppure 75 se il terreno è posseduto e coltivato da coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali iscritti alla previdenza agricola). L’imposta si calcola applicando alla base imponibile l’aliquota individuata in precedenza.
Fonte: Sel Montespertoli
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