Joe DiMaggio, Paul Simon e il potere del silenzio

Where have you gone, Joe DiMaggio?
A nation turns its lonely eyes to you
What's that you say Mrs. Robinson
Joltin' Joe has left and gone away.
Simon & Garfunkel - “Mrs. Robinson”
La stragrande maggioranza degli immigrati italiani che arrivarono negli Stati Uniti a cavallo fra l’800 e il ‘900 provenivano dalle aree più depresse e arretrate del paese. Oltre il 70% di loro era analfabeta. Del tutto impreparati ad affrontare il nuovo ambiente, incapaci di capire ed esprimersi in inglese, si stiparono in ghetti urbani segnati da miseria, delinquenza, ignoranza e sporcizia. Scriveva il New York Times nel 1909: «Si suppone che l’italiano sia un grande criminale. L’Italia è prima in Europa con i suoi crimini violenti. Il criminale italiano è una persona tesa, eccitabile, è di temperamento agitato quando è sobrio e ubriaco furioso dopo un paio di bicchieri. Di regola, i criminali italiani non sono ladri o rapinatori, sono accoltellatori e assassini».
Giuseppe e Rosalia erano giunti a Ellis Island dalla Sicilia nel 1898 e presto si trasferirono sulla costa occidentale, dove l’uomo avrebbe continuato a fare il pescatore come tutti i suoi avi. Quando il 25 novembre 1914, in un sobborgo a sud di San Francisco, nacque il quarto maschio e l’ottavo di nove figli, il genitore pensava che anche lui avrebbe trascorso la sua esistenza su una modesta imbarcazione maleodorante, nelle acque al largo del Golden Gate. Il piccolo Giuseppe Paolo aiutava il padre nel suo lavoro e nel poco tempo dedicato allo svago si guardava bene dal giocare in strada uno strano gioco europeo ed essere nuovamente preso in giro. Il calcio era oltretutto considerato una disciplina per femminucce. Si diede quindi al baseball, dimostrando precocemente un talento innato.
Meglio conosciuto come Joseph “Joe” DiMaggio diventò una leggenda dello sport, la più fulgida incarnazione del “sogno americano”, una figura di ineguagliato romanticismo e integrità per l’impeccabile professionalità sul diamante, per il suo matrimonio con Marilyn Monroe, per la devozione alla star hollywodiana anche dopo la sua morte prematura, per la signorilità e l’orgoglio con cui si condusse in vita. Ancora nel 1939, dopo che aveva già vinto tre campionati con i New York Yankees, doveva però sopportare commenti come quello apparso sulla rivista Life: «Benché abbia imparato a parlare in italiano, il suo inglese è privo di accento ed è ben adattato alla maggior parte dei costumi americani. DiMaggio non si cosparge la testa di olio d’oliva o di grasso per lisciarsi i capelli, non puzza di aglio e preferisce il pollo agli spaghetti».
E però, al suo apogeo, il cantante Les Brown gli dedicò la hit “Joltin’ Joe”, fu omaggiato da Ernest Hemingway nel romanzo “Il vecchio e il mare”, e nel 1968 fu ricordato da Paul Simon nella celebre “Mrs. Robinson”, inclusa nella colonna sonora del film “Il laureato”, con i versi riportati in epigrafe. Sempre attento a quello che veniva scritto o detto di lui, DiMaggio restò perplesso sul reale significato di quelle parole.
Quando DiMaggio morì, nel marzo del 1999, il New York Times ne chiese un ricordo proprio a Paul Simon. Il cantante svelò che pochi anni dopo l’uscita del pezzo, si era trovato allo stesso ristorante con DiMaggio, il quale gli aveva contestato di non essere mai sparito e di essere restato sempre in circolazione. Non capiva perciò il senso di quelle parole. Simon spiegò che non dovevano essere intese in senso letterale. DiMaggio rappresentava il vero eroe americano e ai tempi in cui la canzone fu scritta pareva a Simon che di eroi veri ce ne fossero assai pochi.
Nel ripensare all’interpretazione autentica di quei versi, Paul Simon dovette ammettere la forza di penetrazione del mito. DiMaggio non era stato un idolo della sua infanzia, ma piuttosto dei giovani della generazione precedente. Quelle parole rivelavano un inaspettato bisogno di identificazione con l’eroe senza macchia e senza paura, un tratto culturale incoerente con il clima iconoclasta e anticonformista dei rivoluzionari anni ’60. Con sguardo retrospettivo, Paul Simon dovette riconoscere di esser stato sensibile ai valori propugnati da DiMaggio, al suo senso del dovere (molto spesso aveva giocato nonostante dolorosi infortuni), al riserbo e alla purezza di spirito che gli impedirono di parlare in pubblico delle nevrosi di Marilyn Monroe e quindi di monetizzare la sua relazione con la diva. Paul Simon arrivava alla conclusione che il suo punto di contatto con il campione era stata la comprensione del potere del silenzio, da lui eternizzato in “The sound of silence”.
Mentre DiMaggio scompariva, gli Stati Uniti erano scossi dalla procedura di impeachment contro il presidente Bill Clinton, a seguito dello scandalo Lewinsky. Per contrasto, in quei giorni di trasgressioni e scuse presidenziali, di interviste all’ora di cena su private inclinazioni sessuali, Paul Simon non poté fare a meno di piangere la dignità, il feroce riserbo, la fedeltà alla memoria della moglie e la consegna del silenzio del campione italo-americano.