L'ingegner Di Lauro, capo della cordata che si è da poco tirata fuori dal tentativo di risanare la Shelbox, ha spiegato in un'intervista a La Nazione la proria verità sulla trattativa. «Quell’accordo — spiega Di Lauro — lo avremmo firmato ad occhi chiusi se solo ci fossero state tutte le garanzie da noi richieste in tutti gli incontri che si sono susseguiti da aprile a oggi, ma nell’ultimo vertice in Provincia — riferisce l’ingegnere — siamo usciti fuori con un verbale d’incontro stravolto. Alcuni nostri punti fermi era stati depennati. Quale imprenditore di questi tempi, si avventurerebbe in un progetto senza un minimo di garanzie? Per noi era importante che l’operazione ‘salvataggio’ non ci danneggiasse”. Siamo sempre rimasti fermi su questo punto, tant’è che l’11 agosto presentammo la nostra proposta definitiva: avremmo sottoscritto l’accordo solo se ci fosse stato concesso in comodato d’uso gratuito per sei mesi l’immobile, se al termine di questo periodo si fosse rifatto il punto e valutate le condizioni per ulteriori commesse, aggiungendo anche che per il primo step, quello della realizzazione dei prototipi, avremmo inizialmente impiegato 13 lavoratori”.
In questa trattativa — prosegue Di Lauro — è stata tirata troppo la corda da parte dei sindacati. Ma l’ultima pugnalata ai lavoratori — chiosa l’ingegnere — è arrivata dallo stesso curatore fallimentare che ha chiesto alla Solaris 3 di produrre in pochi giorni tutta la documentazione per procedere alla concessione in affitto/comodato delle strutture e delle materie prime della Shelbox, quando sapeva bene che non ci sarebbe stato comunque il tempo sufficiente per procedere all’esame della proposta e sottoscriverla: gli operai a quella data si sarebbero già trovati in mobilità».