gonews.it

Antonio Rattin, alle origini della "mano di Dio"

L'edizione inglese della Coppa Rimet, svoltasi nel 1966, segnò l'inizio della rivalità calcistica fra Argentina e Inghilterra

Gli argentini sono italiani che parlano spagnolo e si credono inglesi

Adagio argentino

 

Indira Gandhi veniva eletta Primo ministro dell’India, Mao Zedong lanciava la “rivoluzione culturale” per fare pulizia dentro il partito comunista; i militari insediavano il dittatore Suharto in Indonesia che chiariva le sue intenzioni facendo uccidere un milione di oppositori, i suoi colleghi argentini sfrattavano il presidente Illia con un colpo di stato; l’aviazione americana intensificava i bombardamenti su Hanoi, ma gli studenti cominciavano a manifestare contro la Guerra del Vietnam; gli “angeli del fango” competevano nel salvare le bellezze storiche e artistiche minacciate dall’alluvione di Firenze, le ragazze indossavano la minigonna e John Lennon dichiarava che i Beatles erano più famosi di Gesù Cristo, mentre il ritrovamento della Coppa Rimet, trafugata durante una mostra celebrativa, consentiva l’apertura a Londra dell’ottava edizione dei Campionati del mondo di calcio, per la prima volta teletrasmessi in diretta grazie ai collegamenti satellitari.

I Mondiali del 1966, poi vinti dall’Inghilterra in finale contro la Germania Ovest grazie alla rete-fantasma di Geoff Hurst, furono afflitti da sospetti e veleni a causa della pessima prestazione degli arbitri, i cui frequenti errori orientarono gli esiti di molte partite, generando veementi proteste da parte delle squadre sudamericane, che accusarono il presidente della FIFA, l’inglese Stanley Rous, di aver ordito e portato a termine un complotto per favorire le formazioni europee – con l’esclusione beninteso degli azzurri, che si inchinarono ai dilettanti nord-coreani, meritandosi i lanci di pomodori al rientro in Italia.

Tutti poterono assistere allo sconcio trattamento cui fu sottoposto Pelé, prima azzoppato all’esordio contro la Bulgaria e poi finito dai difensori portoghesi nella gara che decretò l’eliminazione del Brasile bi-campione in carica. Non andò meglio all’Uruguay: scippato di un rigore lampante contro i tedeschi, perse la testa e due giocatori per espulsione, consegnando una facile vittoria agli avversari. Tuttavia, l’episodio che diede maggior fiato alle teorie cospirative vide protagonista l’argentino Antonio Rattin, nella partita che unanimemente tutta la stampa latino-americana descrisse come el robo del siglo.

Il 23 luglio 1966, il maestoso stadio di Wembley aprì le porte al quarto di finale fra i padroni di casa e l’Argentina, che sciorinò immediatamente il classico stile ruvido e falloso che era ben noto alle compagini europee per le annuali sfide della Coppa Intercontinentale. Gli inglesi, che avevano proclamato alla vigilia che non si sarebbero lasciati intimidire, risposero per le rime, soprattutto con il mediano Nobby Stiles, il quale si era già fatto conoscere nella precedente partita contro la Francia, quando un fallo contro Jacques Simon aveva indotto la federazione inglese a premere sul tecnico Alf Ramsey, affinché lo lasciasse in panchina. Con gli animi già surriscaldati, il capitano albiceleste Rattin fu espulso al 35’ dall’arbitro tedesco Rudolf Kreitlein, che lo punì per linguaggio scurrile. In effetti, il motivo vero rimase oscuro, anche perché i protagonisti in campo parlavano lingue diverse e facevano fatica a capirsi. Nella concitazione che scoppiò, Rattin si affannava a mostrare al direttore di gara la propria fascia di capitano e quindi il diritto a conferire con lui. Invano, domandò l’arrivo di un interprete, rifiutandosi di lasciare il campo. L’interruzione si protrasse per ben undici minuti. Solo all’arrivo della polizia, il furibondo capitano acconsentì ad andarsene, non prima di aver deliberatamente calpestato il tappeto rosso reale, provocando l’indignazione degli spettatori.

L'arbitro Kreitlein cerca di convincere Rattin a lasciare il campo dopo l'espulsione

Il difensore George Cohen suggerì in seguito che Rattin aveva cercato fin dall’inizio di instaurare un dialogo con l’arbitro, il quale avrebbe perciò sanzionato un atteggiamento piuttosto comune in Sud America ma inammissibile in Europa, dove appariva come un continuo tentativo di influenzare la direzione di gara. Una spiegazione sovente brandita dagli inglesi si è poi appuntata sulla tattica fallosa degli argentini, ma le statistiche accreditano gli ospiti di soli 19 falli contro i 33 dell’Inghilterra, i cui giocatori peraltro patirono quella specie di mobbing occulto consistente in sputi, tirate di capelli e pestoni.

Nella ripresa, frustrati per l’accaduto e per l’incapacità di esprimere il proprio rilevante potenziale, nonché in risposta all’altrettanto notorio gioco maschio dei britannici, gli argentini alzarono il tono dello scontro, inveendo poi contro il guardalinee che secondo loro aveva erroneamente convalidato l’1-0 decisivo, segnato da Hurst in sospetta posizione di fuorigioco. La tensione crebbe al punto che, al fischio finale, con i giocatori impegnati nel tradizionale scambio delle maglie, l’allenatore Ramsey si precipitò in campo per impedire il rituale e, in conferenza stampa, bollò gli avversari con l’epiteto di “animali”.

Benché successivamente ritrattata, l’offesa di Ramsey fece il giro del mondo e, comprensibilmente, accese le proteste a Buenos Aires, la cui ambasciata inglese fu circondata e minacciata da una folla imponente, ma anche a Città del Messico e Montevideo, dove il personale diplomatico fu intrappolato nei locali della legazione e tratto in salvo solo dall’intervento delle forze dell’ordine. L’ambasciatore di La Paz spedì un telegramma al Foreign Office nel quale affermava: «Duole constatare che in buona parte del Sud America la nostra rispettata fama di fair play e sportività è persa per sempre».

La partita del 1966 può essere quindi considerata l’origine sportiva dell’aspra rivalità anglo-argentina, che si nutre di ben profonde ragioni storico-politiche.

Fin dall’età vittoriana, l’Argentina era inclusa nell’impero informale della Gran Bretagna e le famiglie aristocratiche vi spedivano i figli meno capaci, affinché facessero fortuna con il bestiame o il grano. Vi costruirono ferrovie e vi introdussero il football, che in principio era negato agli autoctoni. Anche per questo, per gli argentini battere gli inglesi nel calcio ha sempre simboleggiato la figura dell’allievo che supera il maestro o, addirittura, la formalizzazione del complesso edipico del figlio che “uccide” il padre nel processo di affermazione della propria personalità. Non va ritenuta arrischiata quest’ultima simbologia, laddove si consideri che la cultura gaucha è imbevuta di elementi britannici come poche altre al mondo: il thè delle cinque è tanto diffuso a Buenos Aires, in locali che fanno il verso ai più rinomati ambienti londinesi, quanto nella Vecchia Albione e pure nel calcio sopravvivono reminiscenze altrove assorbite dalla cultura indigena, come si evince dal nome inglese di molte squadre di prima fascia, quali il River Plate, il Racing o il Newell’s Old Boys.

Come sovente accade, questo implicito sentimento di ammirazione convive con un intenso risentimento che attinge la sua ragion d’essere dal potere economico che la Gran Bretagna ha esercitato in passato sul sub-continente sudamericano, da un paio di tentativi di invasione di Buenos Aires da parte di milizie inglesi nel 1806 e 1807, il cui fallimento originò le aspirazioni di autodeterminazione che condussero all’indipendenza argentina nel 1816, e in ultimo dalla contesa relativa alle isole Falkland-Malvinas, che ci riporta ai legami con il calcio.

Dopo la vittoria nella Coppa del mondo del 1978, la feroce dittatura che governava l’Argentina tentò di sfruttare la frenesia nazionalista che ne era derivata a fini politici e patriottici. La prima ipotesi di prendere il controllo di porzioni del territorio cileno nel Canale di Beagle fu vanificata dall’intervento stabilizzatore delle gerarchie vaticane. Quattro anni dopo, il medesimo sentimento sciovinista mise nel mirino l’arcipelago delle Falkland, anche allo scopo di distogliere l’attenzione della popolazione dalla grave crisi economica e dalla crescente opposizione sociale al regime autocratico. L’immediata reazione di Margaret Thatcher, che spedì la Royal Navy a combattere contro i corpi d’invasione argentini, sorprese i generali golpisti che non si aspettavano che l’Inghilterra avrebbe versato il sangue della propria gioventù per difendere dei remoti lembi di terra nell’Atlantico meridionale. La schiacciante superiorità militare inglese risolse in breve il conflitto, proprio alla vigilia dei Mondiali del 1982, la cui conclusione deludente per l’Albiceleste si sommò pertanto all’umiliazione militare – non a caso, l’anno seguente, la Junta militare cadde, aprendo la strada al ritorno della democrazia.

Nel 1986, finalmente, l’Argentina avrebbe avuto la sua rivincita, grazie a Diego Maradona, che decise il quarto di finale dei Mondiali messicani prima con la malandrina mano de dios e poi con il successivo gol del secolo. Il 2-1 che estromise l’Inghilterra fu considerato una rivalsa morale da molti argentini e dallo stesso Pibe de Oro, che scrisse nella sua biografia: «Il gol segnato con la mano è il mio preferito, fu come rubare il portafoglio a un lord inglese. Quella vittoria significò per noi battere un intero paese e non solo la sua squadra di calcio. Nonostante la guerra delle Malvinas non avesse niente a che fare con il calcio, noi sapevamo che là erano morti un sacco di ragazzi argentini. La vittoria fu quindi una specie di vendetta».

Il cerchio si chiude con Roberto Perfumo, il difensore centrale che era in campo nella sfida del 1966 e che capitanò la nazionale argentina fino al 1974, il quale ha sottolineato il legame fra il 2-1 di Città del Messico e la lunga rivalità anglo-argentina iniziata con l’episodio che vide protagonista Antonio Rattin: «Dopo quello che ricordiamo come il “furto del secolo”, giocare contro l’Inghilterra ha sempre avuto un sapore speciale. Arrivo a dire che la vittoria del 1986 contro gli inglesi fu il conseguimento del nostro obiettivo primario, di fronte al quale anche la successiva conquista del titolo iridato retrocede ad aspetto secondario».

Così è, se vi pare.

Exit mobile version