Marilyn Monroe irrompeva sulla scena cinematografica, Giuseppe Farina vinceva su Alfa Romeo il primo mondiale di Formula 1, a Bertrand Russell andava il Nobel per la letteratura, Charles M. Schulz creava il fumetto di Charlie Brown, il bandito Salvatore Giuliano trovava la morte a Castelvetrano e i contadini del Mezzogiorno restavano delusi dalla riforma agraria, iniziava la Guerra di Corea e intanto si apriva a Rio de Janeiro la quarta Coppa Rimet, dopo la lunga pausa dovuta al conflitto mondiale.
Le ferite ancora aperte della guerra ridussero grandemente il campo di partecipazione e solo 13 squadre furono al via nel giugno del 1950. La FIFA bandì Germania e Giappone, come sanzione accessoria per le colpe belliche, mentre fu ammessa l’Italia bi-campione, che si recò in Brasile in nave, per lo shock ancora vivo della tragedia di Superga: la lunga traversata senza allenamenti adeguati e l’impoverimento della rosa per la morte dei giocatori del “Grande Torino” causarono la mediocre prestazione degli azzurri, eliminati dalla Svezia di Karl Skoglund, Hasse Jeppson e Gunnar Nordahl, che approdarono poi nel campionato italiano. Parteciparono per la prima volta le squadre britanniche, che si affrontarono fra di loro nel girone di qualificazione. La spuntò l’Inghilterra, che fece rotta per il Sudamerica con il ruolo di favorita. Il lungo isolamento aveva però impedito agli inglesi di tenere il passo dei progressi tecnico-tattici e, con grande sorpresa di tutti gli osservatori, la nazionale albionica venne estromessa al primo turno, anche per la clamorosa sconfitta contro gli Stati Uniti, causata dalla controversa rete dello sconosciuto ventiseienne Joe Gaetjens
Inghilterra e Stati Uniti si incontrarono il 29 giugno a Belo Horizonte, agli ordini dell’arbitro italiano Generoso Dattilo. Nella prima partita del girone, gli inglesi avevano superato a fatica il Cile per 2-0 e gli americani erano stati battuti per 3-1 dalla Spagna. Tutti si attendevano un match a senso unico: i bookmakers davano l’Inghilterra come la seconda favorita alla vittoria finale e pagavano addirittura 500 volte la posta la conquista del titolo da parte degli USA. Sicuri del successo, gli inglesi fecero riposare Stanley Matthews, il loro più forte attaccante. Come previsto, l’Inghilterra iniziò in avanti e collezionò diverse palle-gol, ma verso la fine del tempo il risultato era ancora sullo 0-0. Al 37’, gli USA fecero una rara sortita in attacco. Dalla destra, Walter Bahr scagliò un tiro in diagonale che il portiere Bert Williams si apprestava a raccogliere sul secondo palo, quando dal gruppo dei giocatori in mezzo all’area si staccò in tuffo Gaetjens, che intercettò di testa la palla, deviandola nell’angolo alla sinistra di Williams. Per i compagni di squadra, Gaetjens aveva cercato quel gol con una delle sue solite acrobazie, mentre lo sprezzante estremo difensore britannico lo attribuì a un mero colpo di fortuna. Chi avesse ragione resta però in dubbio, poiché i pochi fotografi e cineoperatori che avevano deciso di seguire l’incontro erano posizionati dietro la porta statunitense, dove si aspettavano che sarebbero entrati i palloni, e non esistono pertanto foto o riprese della rete.
L’intero secondo tempo non bastò all’Inghilterra per battere almeno una volta il portiere americano Frank Borghi, che poté contare in qualche occasione anche sull’aiuto dei montanti. Dal momento del fischio finale, dopo il quale i festanti tifosi brasiliani portarono in trionfo lo spaesato Gaetjens, una specie di cospirazione multilaterale contribuì a falsificare o distorcere le vicende riguardanti il protagonista – a partire dalle stesse cronache della gara.
Il dispaccio dell’agenzia Reuter riportò correttamente il risultato, ma secondo una versione mai smentita ufficialmente, diversi giornali, forse increduli, ritennero di ravvisarvi un errore di trascrizione e cambiarono il punteggio in 10-0 o 10-1 per l’Inghilterra. Il solo giornalista statunitense, presente per il St. Louis Post, ritenne di non dover dar conto di quello che aveva visto e lo scarno rapporto dell’Associated Press, ripreso dal New York Times, attribuì il merito della rete decisiva a Ed Souza – è curioso notare che anche nell’altrimenti accurato “Splendori e miserie del gioco del calcio” (Sperling & Kupfer, 1997), lo scrittore Edoardo Galeano sbaglia in “Larry” il nome di Gaetjens e lo definisce nero di pelle, mentre il giocatore era un mulatto, il cui bisnonno tedesco era stato inviato da Brema ad Haiti come emissario commerciale dall’imperatore prussiano Guglielmo III.
Ma qual è la vera storia dell’uomo che rispedì a casa i presuntuosi calciatori inglesi?
Gaetjens era giunto negli Stati Uniti come immigrato, ma proveniva da una delle famiglie più in vista di Haiti e non aveva varcato il confine con una valigia di cartone. Aveva imparato a giocare a calcio nel prato del giardino di famiglia e aveva fatto parte dell’Etoile Haitienne, vincendo due volte il campionato nazionale. Ma all’epoca, con il calcio non si pagavano i conti, specialmente ad Haiti, e la famiglia, come aveva fatto con il fratello maggiore Gerard, lo inviò a studiare contabilità a New York. Qui, il giovane Gaetjens trovò lavoro come lavapiatti, entrando in contatto con il variegato mondo di immigrati che allora dominava il calcio americano. In breve, ottenne un contratto nell’American Soccer League con il Brokhattan e due stagioni dopo si laureò capocannoniere del torneo a stelle e strisce.
Nel tentativo di migliorare una squadra che alle Olimpiadi di Londra del 1948 era stata demolita dall’Italia per 9-0, la federazione mise gli occhi sui giocatori provenienti dall’estero e il giorno prima della partenza per il Brasile, durante l’ultimo allenamento contro una selezione di giocatori inglesi di stanza a New York, tre stranieri furono aggiunti alla rosa: il belga Joseph Maca, lo scozzese Ed McIlvenny (le cui origini gli valsero la fascia di capitano proprio nel match contro l’Inghilterra) e, per l’appunto, Gaetjens.
L’incerto status dei neo-arrivati non turbò oltremodo la FIFA, dato che, nelle circostanze eccezionali in cui l’elenco delle compagini finaliste fu composto, era stato consentito a ciascuna federazione di fissare in autonomia i requisiti di eleggibilità alla rappresentativa nazionale – basti pensare, a tale proposito, che Cuba aveva reclutato atleti argentini dopo il primo turno delle qualificazioni, sulla base della regola che permetteva di naturalizzare in 24 ore le persone capaci di parlare spagnolo!
Solo nel novembre successivo la FIFA aprì un’inchiesta. Gli USA si giustificarono dicendo che Gaetjens e gli altri due avevano firmato i primi documenti per la naturalizzazione, dichiarando così l’intenzione di prendere la cittadinanza statunitense. Tanto bastava secondo le regole americane per rappresentare il paese nella nazionale di calcio – in effetti, Gaetjens non diede mai seguito a quel primo passo verso la naturalizzazione. La FIFA accettò pilatescamente la bizzarra spiegazione e l’Inghilterra non protestò oltre, evidentemente desiderosa di posare una pietra tombale sulla pagina più nera della sua storia sportiva, anche a costo di ingoiare il fatto che l’uomo che le aveva segnato il gol dell’umiliante sconfitta non avrebbe mai dovuto giocare quella partita.
Dopo una fugace esperienza professionale nelle serie minori del campionato francese, Gaetjens fece ritorno ad Haiti. All’aeroporto fu accolto come un eroe nazionale da migliaia di connazionali e riprese a giocare per l’Etoile Haitienne. Nel dicembre 1953, scese finalmente in campo per la nazionale del suo vero paese in una partita di qualificazione ai Mondiali del 1954. Fu la sua ultima partita ufficiale e quando gli USA incontrarono Haiti nello stesso torneo eliminatorio, Gaetjens rimase a guardare, ma invitò i vecchi compagni di squadra a un party nella villa di famiglia che sovrastava Port-au-Prince: quella fu l’ultima volta che li vide.
Nel 1957, il medico François “Papa Doc” Duvalier vinse le elezioni presidenziali nella quali la famiglia Gaetjens aveva sostenuto il candidato concorrente Louis Dejoie, con cui era imparentata. Un tentativo fallito di colpo di stato trasformò Duvalier in un despota sanguinario, che si dette a perseguitare gli oppositori con i mezzi più feroci. Il 14 giugno 1964, un referendum farsa lo proclamò presidente a vita. Il terrore crebbe di intensità, lo stesso Papa Doc prese a interrogare e giustiziare personalmente gli oppositori; oltre la metà dell’esiguo reddito nazionale fu destinata a foraggiare le azioni dei temibili “Tonton Macoute”, la milizia paramilitare che vigilava sullo status quo depredando, violentando e uccidendo.
Mentre due fratelli di Joe organizzavano dalla Repubblica Dominicana la guerriglia contro il dittatore, la famiglia Gaetjens lasciò Haiti grazie alla soffiata di amici arruolati nella polizia, che annunciarono un’imminente rastrellamento. Joe non si nascose, convinto che il suo rango di gloria sportiva, le sue amicizie con membri influenti dell’establishment, nonché il suo disinteresse per la politica, lo avrebbero protetto. L’8 luglio 1964, al comando di una pattuglia della milizia, un lontano parente dei Gaetjens si presentò alla lavanderia di proprietà di Joe. Sapeva che non era là e rivolse le abituali minacce alla suocera. Immaginava che quella visita intimidatoria l’avrebbe indotto a darsi alla macchia, Joe invece arrivò con la sua auto e nel trambusto fu caricato su un furgone sotto la minaccia delle armi.
Nei mesi e negli anni che seguirono, la madre e la sorella chiesero insistentemente un incontro con Duvalier per avere notizie del loro congiunto, pagarono dei poliziotti che avevano promesso loro di fornire notizie attendibili sul suo destino e si rivolsero alle autorità americane affinché intercedessero presso il tiranno. Invano.
Vennero evidenze e testimonianze che Joe Gaetjens era stato rinchiuso a Fort Dimanche, il campo di tortura dove il regime incarcerava i suoi oppositori, che erano presto decimati dal tifo, dalla diarrea e dalle esecuzioni sommarie. Pur mancando una conferma inconfutabile, come il ritrovamento del cadavere o la presenza del nome nella lista degli internati, era verosimile che Joe Gaetjens fosse deceduto o stato ucciso al pari degli oltre 3.000 che finirono i loro giorni nell’edificio costruito dai coloni francesi.
Nel 1972, sotto la pressione della Commissione Interamericana dei Diritti umani, il Governo haitiano confermò all’ambasciata statunitense che Joe Gaetjens era morto. Quando e come, tuttavia, resta un enigma ancora oggi.
Post scriptum – Nel 1976, Joe Gaetjens fu inserito nella Hall of Fame del calcio statunitense e nel 2009, un altro calciatore americano di origini haitiane, Jozy Altidore, propiziò con un suo gol una seconda giornata di gloria per il soccer, allorché gli USA sconfissero la Spagna nella semifinale della Confederation Cup.