Chissà cosa avranno pensato i molti visitatori di Palazzo Vecchio nel veder transitare, sotto le volte dell’austero edificio trecentesco, un’insolita e divertita comitiva di indigeni, incuranti dei decori e degli stucchi, degli stemmi e delle sculture, e invece intenti a fotografare e filmare un canuto signore tutto preso a stringere mani, dispensare sorrisi e concedere calorosi abbracci. Qualcuno dei suddetti nativi avrà forse avuto la buona creanza di spiegare loro che stavano assistendo alla celebrazione di un monumento fiorentino tutto particolare e magari l’ignaro turista potrà aver financo esclamato: «Eppur si muove!».
Sotto lo sguardo marmoreo dell’altro notevole “atleta” che si erge sulla breve scalinata d’ingresso, il gruppo ha proseguito, facendosi largo con decisione fra gli innocenti giapponesi, gli americani strafottenti e gli incuriositi tedeschi, i quali tutti, per il loro smarrimento, possono biasimare solo la propria ignoranza, giacché anche l’occasionale cronista avrebbe ben saputo - per dire - riconoscere l’ormai stempiatissimo Franz Beckenbauer se vi si fosse imbattuto in Marienplatz mentre veniva onorato dal sindaco di Monaco di Baviera, o persino l’argentato Kevin Keegan, qualora fosse capitato per caso in un rito celebrativo officiato da quello di Liverpool.
Perché, come si è ben capito, ieri la città di Firenze ha inteso rendere omaggio al più amato fra i suoi figli acquisiti, a quello splendido sessantenne che è diventato Giancarlo Antognoni, il solo campione che gli orgogliosi tifosi viola consideravano, al pari delle molte bellezze scolpite, ritratte o dipinte della città, un’opera d’arte in movimento. Una festa di compleanno in piena regola, con gli amici di una vita e gli estimatori di sempre, con tanto di torta adornata di 60 candele da spegnere nella Sala d’Arme sotto gli occhi del vice-sindaco Dario Nardella, della vice-presidente della Regione Toscana Stefania Saccardi, del presidente del Consiglio Comunale Eugenio Giani e della famiglia riunita al gran completo, con la moglie Rita e i figli Alessandro e Rubina.
La consegna delle “chiavi della città” è avvenuta invece nella cornice ancora più prestigiosa del Salone dei Cinquecento, gremito come lo stadio “Artemio Franchi” quando vi si gioca un match di cartello e, in qualche caso, attraversato dagli stessi cori d’incitamento che partivano dalla curva Fiesole ai tempi in cui la chioma bionda di Antognoni vorticava sul rettangolo verde. Peccato soltanto che la cerimonia sia stata solo saltuariamente visitata dal pathos e dall’emozione che l’avrebbero arricchita di senso.
Vanamente si è infatti affannato il giornalista Luca Calamai, cui toccava in coabitazione con l’immancabile starlette alto-lombata la conduzione dell’evento, dato che Nardella è stato incapace per ben due volte di richiamare alla mente anche una sola immagine aneddottica della carriera di Antognoni (ah, quante ne avrebbe rievocate pure il casuale redattore!), evidentemente impedito dall’esser stato all’epoca un bambino forse disinteressato, ma ancor più gravemente inetto per non essersi nemmeno appropriato di una qualche memoria riportata, e infine abile solo nell’accreditare della paternità dell’iniziativa il neo-premier Matteo Renzi, che, in tutt’altre faccende affaccendato, si è palesato alla platea tramite un messaggio video-trasmesso.
E che dire delle delebilissime frasi di circostanza della vice-presidente Saccardi, che si è poi distinta per aver dichiarato a tutto microfono e con candore disarmante di aver scoperto solo in occasione dei preparativi della festa che Antognoni non è di natali fiorentini? È toccato a Giani risollevare il tono della rappresentanza istituzionale, raccontando che l’onorificenza toccata all’eroe viola origina dalla generosità di un signore inglese che, in occasione di una trasferta di Champions League della Fiorentina, avvicinò le autorità municipali per cedere delle chiavi acquistate a un’asta, che fu poi scoperto dalla soprintendenza essere quelle che aprivano una delle porte della Firenze medievale.
Anche il ct azzurro Cesare Prandelli ha dispensato un po’ di sapere sportivo, quando ha rammentato che a lui, onesto panchinaro bianconero, il compianto Gaetano Scirea suggeriva alla bisogna di girare alla larga da Antognoni per non incappare in brutte figure.
L’ormai ultrasettantenne “Picchio” De Sisti, capitano dell’ultima Fiorentina scudettata e dal quale il giovanissimo Antognoni ricevette in eredità la cabina di regia del gioco viola, si è segnalato invece per umanità e calore emotivo, svelando che gli furono necessari diversi giorni per assorbire il contraccolpo psicologico del grave infortunio alla testa patito da Giancarlo nello scontro con Silvano Martina e rivendicando il merito di quel secondo posto in campionato, ottenuto con il ridotto apporto del capitano e, ha omesso elegantemente di precisare, senza il supporto arbitrale che spinse la Juventus oltre il traguardo dell’ennesimo successo.
Altrettanto densa di sentimento è stata la salita sul palco dei tanti ex-viola venuti a festeggiare il loro condottiero, da Andrea Orlandini a Claudio Desolati, da Celeste Pin a Roberto Galbiati, da Moreno Roggi a Giovanni Galli, il quale ultimo si è schermito sull’ovvio quesito relativo alla sua partecipazione come terzo portiere al Mondiale di Spagna, spingendo piuttosto alla commozione i presenti con la rievocazione dei vani sforzi dello staff medico per rimediare alla ferita al piede che costrinse Antognoni a saltare la finale contro la Germania Ovest.
Infine, l’incontro con i calciatori viola di oggi, rappresentati da Aquilani, Borja Valero e dal convalescente “Pepito” Rossi, in un’ideale passaggio di testimone fra una vecchia guardia che ha saputo far breccia nel cuore della città e i nuovi idoli alla ricerca di una necessaria saldatura con la lunga tradizione gigliata, che certo sarebbe facilitata se soltanto il patron Della Valle non temesse di attentare al proprio ego ipertrofico e richiamasse Antognoni al posto che gli spetta.
