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Ex Colorificio Liberato, il Municipio dei Beni Comuni va alla J Colors di Lainate

I rappresentanti del Municipio dei Beni Comuni davanti la J Colors

"Vogliamo dialogare con la proprietà. Rimaniamo convinti che uno spazio abbandonato alla cittadinanza debba essere restituito ad essa"

La mattina del 28 novembre 2013 una delegazione del Municipio dei Beni Comuni si è recata alla sede della J Colors presso Lainate, Milano, per cercare un’interlocuzione con la proprietà. Rimaniamo convinti che il nostro obiettivo sia quello di destinare uno spazio abbandonato alla cittadinanza affermandone il carattere di bene comune, e che raggiungere questo obiettivo con il consenso della proprietà sarebbe una vittoria.

Per questo avevamo chiesto per l’ennesima volta un incontro con l’amministratore unico della J Colors, ricevendo risposta negativa in quanto continueremmo a diffondere “menzogne” sull’operato della società. Credevamo che in ogni caso un rappresentante dell’azienda avrebbe ricevuto e protocollato una nostra lettera, quindi in tre siamo andati ugualmente da Pisa fino a Milano: Marco Barbato (Fratelli dell’Uomo), Martina Pignatti Morano (Un ponte per…) e Daniele D’Alleo (Progetto Rebeldia).

Ci accompagnavano Guido Viale (economista e saggista) ed Emanuele Patti (Presidente ARCI Milano e portavoce del Forum Terzo Settore di Milano).

La scelta della J Colors è stata però di totale chiusura nei nostri confronti. Il capo della sicurezza, in portineria, era stato istruito dall’ufficio legale e ci ha risposto che non ci rilasciava alcuna liberatoria per filmarlo o fotografarlo, e che non aveva autorizzazione a lasciarci entrare né ad accettare niente da noi. I dipendenti che ogni tanto entravano ed uscivano erano stati informati del nostro arrivo e non ci rivolgevano la parola, tenendo lo sguardo basso come se spaventati, né accettavano la nostra cartellina con la lettera a Junghanns da parte del Municipio dei Beni Comuni e una maglietta del Municipio.

A nulla è valso l’intervento di tre carabinieri presenti davanti all’impresa, che hanno tentato una mediazione con il capo della sicurezza ma si sono arresi quasi subito, sconcertati dalla rigidità della J Colors. Dopo mezz ora abbiamo buttato la cartellina tra le sbarre e srotolato uno striscione che diceva: Ex colorificio liberato proprietà collettiva. No alla variante! Infine ci siamo recati in centro a Milano, davanti alla sede di Assolombarda, per criticare pubblicamente questo modello di imprenditoria e per incontrare invece, in strada, i nostri compagni di viaggio. Grazie a tutti coloro che ci hanno accolti con calore a Milano! Seguono i loro interventi…

Estratti degli interventi alla conferenza stampa di Milano, davanti alla sede di Assolombarda

Moni Ovadia (attore e autore teatrale)

“Ritengo che da molti anni ci sia una regressione nel valore attribuito al bene comune e collettivo da parte della classe dirigente. Questa è una battaglia fondamentale, e per combatterla dobbiamo farci una domanda: quale modello di economia vogliamo? C'è un’economia di giustizia che mette al centro l'essere umano, la natura, la qualità della vita, e c'è un tipo di economia che è rapina, land grabbing. Da qualche anno si è fatta avanti l'idea di bene comune che è un impianto concettuale fondamentale per il nostro futuro. Il fallimento delle grandi ideologie, anche quelle con le migliori intenzioni, ci chiama a una rielaborazione dei concetti di uguaglianza, fraternità, di centralità della vita, e questa dei beni comuni mi sembra una delle acquisizioni più acute e intelligenti. Allora visto che la nostra Costituzione recita che l'impresa ha responsabilità sociali, di fronte a un'area dismessa che sta lì a marcire e far niente solo perché bisogna preparare il prossimo balzo speculativo, forse l'azienda potrebbe dire: la vita non è fatta solo per stare dietro a un algoritmo e speculare spostando piccole frazioni di carta straccia per far fare soldi a un piccolo gruppo di esseri umani e gettare nella disperazione la gran parte delle persone. Forse si può fare qualcosa di meglio. Allora credo che quando delle associazioni impiantano la loro comune battaglia sul bene comune e fanno delle richieste bisognerebbe prima di tutto ascoltarle, poi parlare e valutare. Invece c'è un rifiuto a priori, c'è il terrore di misurarsi con la realtà delle cose, di pensare che ci sia un modo diverso di fare impresa, o un modo diverso di fare una banca. Qui la questione è diversa dal far saltare un sistema in base a un'utopia, il punto è porre questo sistema fradicio di fronte a sé stesso e dirgli che prima di naufragare nell'infamia o di distruggere il pianeta si potrebbe cominciare a usare il cervello, visto che abbiamo questa macchina meravigliosa, e un briciolo di cuore. Aggiungo che l'Italia può gloriarsi d'aver avuto forse il più grande modello industriale del ‘900, Olivetti. C'è un modo di fare impresa, di costruire futuro, di stabilire rapporti tra uomini che si basa anche sulla famosa idea liberare. Cosa diceva Luigi Einaudi? Un vero imprenditore ama la sua impresa e ama più di tutto i suoi collaboratori, gli essere umani che con lui lavorano e la fanno andare avanti. Questo principio liberare potrebbe essere oggi esteso e l'impresa liberale potrebbe scoprire che è giusto fare impresa amando non solo i propri lavoratori ma forse amando gli esseri umani in generale. Non sarebbe male pensarci”.

Guido Viale (economista e saggista)

“La cosa che fa più impressione, circa quello che è successo stamani davanti ai cancelli della J-Colors, è il servilismo coatto a cui sono costretti gli impiegati. Questo denuncia un clima in fabbrica che rappresenta un peggioramento atroce delle condizioni di vita di questi lavoratori. Dimostra inoltre che il padrone della J-Colors e tutto il suo staff hanno paura di cinque persone che si presentano fisicamente davanti ai cancelli per consegnare una lettera. E' segno evidente della consapevolezza di non avere nessuna ragione e giustificazione per il loro comportamento, di non essere in grado di fornire nessuna risposta e nemmeno di accettare delle domande! In Italia ci sono migliaia di posti vuoti che rappresentano una fonte di degrado per i territori in cui si trovano. Vuoti perché erano attività produttive che sono state abbandonate dai loro padroni e che stanno lì a creare degrado in attesa che si presentino le condizioni per una speculazione (ed è probabile, a questo punto, in gran parte che non si presenteranno più). Dall'altra parte ci sono non decine ma centinaia, migliaia di giovani e non più giovani che di quei luoghi saprebbero cosa fare. Da questo punto di vista la vostra esperienza è solamente un caso esemplare con molte risorse a sua disposizione ma migliaia e centinaia di migliaia di persone saprebbero impiantare attività nelle aree dismesse e ricostruire degli embrioni di economia alternativa che risponderebbe alle loro esigenze di procurarsi un reddito e un lavoro, e contemporaneamente fornire servizi e fonte di benessere per il paese e il territorio. Opporsi a questo incontro tra i luoghi vuoti e le persone che hanno bisogno e voglia di riempirli è un delitto di cui il nostro governo e, a scendere, tutte le autorità che lo rappresentano e rappresentano la politica italiana si stanno rendendo responsabili e prima o dopo ne dovranno rendere conto”.

Emanuele Patti (Presidente ARCI Milano, membro presidenza ARCI nazionale)

“Stamani davanti ai cancelli dell’impresa siamo rimasti basiti, che è peggio di essere arrabbiati, in quanto per alcune figure del mondo imprenditoriale non esiste neanche il riconoscimento della dignità dell’altro, portatore di un’idea diversa. Il fatto che J Colors rifiuti ogni tipo di contatto fa pensare che dietro questa vicenda ci sia paura, o per meglio dire che qualcuno in azienda abbia la coda di paglia. E’ la dimostrazione che su questa vicenda voi state facendo bene, al di là delle ragioni effettive che vi muovono e che condividiamo come ARCI, perché state utilizzando l’approccio giusto per portare a casa una vertenza. E’ovvio che se dall’altra parte c’è questo atteggiamento sarà davvero difficile stabilire una relazione. Se potessi parlare con Junghanns a questo punto forse gli direi di mollare il mestiere, non è più tempo per padroni di questo tipo, avete affossato l’Italia. Quella fascia d’età nella classe dirigente imprenditoriale e politica ha di fatto rovinato il paese e l’ambiente, non sanno fare il loro mestiere, fanno i liberisti e non lo sono, fanno i liberali e non lo sono, non hanno competenze. Nonostante parlino tutti di responsabilità sociale d’impresa, di fronte a un’offerta come la vostra, che permetterebbe all’impresa di restituire parte dei danni che ha fatto a Pisa, di fronte a persone sensate che utilizzano spazi legittimamente – dal nostro punto di vista – per tutelare i beni comuni, non può essere questa la reazione. Non è questa la grana di cui ha bisogno il paese in tempi di crisi. Abbiamo visto anche i lavoratori in un atteggiamento di totale sottomissione, con addosso la paura indotta di perdere il posto di lavoro. Il fatto che nemmeno chi lavora solidarizzi credo sia il problema più grande che nel piccolo di Lainate è venuto fuori stamani. Se domani alcuni dipendenti di Lainate saranno per strada perché magari l’impresa delocalizza non si ricorderanno nemmeno che qualcuno li aveva posti in guardia, con questa vostra battaglia.

D’altra parte non regge più l’idea che chi occupa per finalità sociali e per i beni comuni commetta un reato. Queste battaglie devono convincere chi può ragionare in termini politici che è reato tenere spazi in disuso, lasciare che si arrivi alla distruzione fisica del manufatto, che gli stabilimenti continuino a inquinare. Come era successo a Milano con l’occupazione di Torre Galfa, la ragione sta dalla parte di chi occupa a scopo sociale. I sindacati sono nati con l’occupazione delle terre! La giurisprudenza può fare in modo che certe fattispecie diventino legali. Se abbandoni uno spazio, basta un anno di inattività per legittimare un’occupazione. Io sono portavoce dell’ARCI sia a Milano che a livello nazionale e su questa vicenda ci siamo già espressi: siamo a fianco del Municipio dei Beni Comuni e da Milano faremo il possibile per sostenervi”.

 Marco Philopat (scrittore)

“Il comportamento tenuto dall’imprenditore della J-Colors stamani è qualcosa di ridicolo, non ci volevo credere, manca di dignità. Purtroppo la classe dirigente industriale italiana è così dappertutto, non se ne esce. Io sono militante dei centri sociali da sempre, da quando ho 15 anni, ora ne ho 51 e solidarizzo sempre con tutti, in particolare con Rebeldia. Rebeldia rappresenta bene la città di Pisa, una città che dal punto di vista dell’innovazione culturale di base - di strada, popolare – è sempre stata molto avanzata. Di solito vengo a Pisa due volte all’anno ma non ho ancora visto l’ex-colorificio, appena rientrate ci vengo sicuramente. Sui beni comuni la questione grossa è che gli spazi vuoti sono migliaia. Macao qui a Milano aveva scelto un obiettivo molto intelligente, occupando un grattacielo vuoto in uno spazio in cui ne stavano sorgendo molti altri. Ebbene, non ce l’hanno lasciato, nonostante fosse di proprietà di un signore, Ligresti, che è stato uno dei mafiosi con più potere qui in città. Basti pensare che in un consiglio comunale non si poteva nemmeno nominare Ligresti perché era quasi un padrino.

Rebeldia lo definirei un centro sociale di seconda o terza generazione, un centro sociale 3.0, perché ha saputo aggregare tantissime associazioni di base. Quando arrivavo c’erano sempre molti migranti che giocavano a basket, altri che facevano graffiti, altri che seguivano la scuola d’Italiano, ed era bellissimo. E’ stato un laboratorio che ha segnato una nuova linea, a cui si sono aggregati tanti centri sociali in giro per l’Italia, ed è un vero peccato che ora non abbia uno spazio. Spero davvero di partecipare appena possibile a un’iniziativa all’ex-colorificio, che mi hanno detto essere vicino alla Torre di Pisa… un simbolo e un contro-simbolo della città.”

Un rappresentante del Distretto di Economia Solidale della Brianza

“Sono venuto a portarvi la solidarietà del DES Brianza, che è un Distretto di Economia solidale nella zona Nord di Milano. Siamo qui perché di beni comuni qualcosa stiamo capendo, visto che ci stanno rubando il territorio. La Brianza è la prima provincia d’Italia per copertura di cemento e asfalto, siamo al 57%. Di questo territorio così prezioso abbiamo provato a fare un’eresia, cercando un pezzo di terra da rimettere a coltivazione biologica per ricostruire la filiera del pane. Ce l’abbiamo fatta e 8 ettari di terra sono da qualche anno a produzione di frumento, 600 famiglie mangiano questo pane. Ma da due anni proprio sul terreno dove noi coltiviamo la Regione Lombardia vuole far passare la nuova superstrada, quindi ci tolgono la possibilità di continuare. Noi vogliamo reagire come gli amici di Pisa e lo stiamo facendo attraverso un primo tentativo di ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo per lesa sovranità alimentare. Non ci accontentiamo di andare a ribarattare il costo di un terreno privato per l'esproprio, ma vogliamo denunciare che questo, nell'anno dell'Expo, è un problema di sovranità alimentare: 600 famiglie che non potranno più prodursi il pane. Quindi un abbraccio da tutti gli amici della Brianza e avanti così!”.

Giuseppe Cavalli (Rifondazione Comunista, sezione di Milano)

“La situazione milanese in termini di relazioni con il mondo imprenditoriale è particolarmente pesante. Noi la viviamo ogni giorno perché ci sono fabbriche che vengono chiuse, dismesse, vengono negati i diritti sindacali. Questo quadro riflette la situazione nazionale. Per quanto riguarda le possibilità di utilizzare spazi dismessi come quello dell’ex-colorificio a Pisa, devo dire che questa politica dello sgombero non è altro che la continuazione della politica dello spreco. Si sprecano anche gli spazi che potrebbero fare cultura, aggregazione, creare nuovi valori. Quello che manca alla politica è la capacità di mettere in discussione i valori di questo tipo di società. I nostri sono i valori della solidarietà, della felicità, della gioia di vivere, mentre nelle città oggi ogni cosa ha valore solo se crea profitto. Se non lo fa bisogna creare le condizioni affinché lo possa produrre. Da qui gli sgomberi ed il conflitto che è giusto si crei, perché dal conflitto nasce il contraddittorio e le nuove idee. E’ una strada lunga ma magari tutti assieme, ciascuno per la sua parte, possiamo ottenere qualcosa”.

 Manuele (M^C^O, Nuovo Centro per le Arti, la Cultura e la Ricerca)

“L’esperienza vostra è molto importante in questo momento perché nella rete di spazi occupati che parlano di riappropriazione di terreno in ottica di riutilizzo, di bene comune, di cittadinanza attiva, è l’unica ad aver aperto una vertenza con il privato. Noi ci sentiamo molto vicini perché abbiamo avuto una lotta frontale con un grossissimo privato e rete di interessi su una proprietà come la Torre Galfa un anno e mezzo fa. Il mese scorso abbiamo deciso di pubblicare un’intercettazione ambientale che avevamo fatto con i rappresentanti della Digos, in cui questi chiarivano che se la Questura aveva deciso di forzare i tempi e ridurre il problema a questione di ordine pubblico era perché la Cancellieri, allora Ministro degli Interni, aveva fatto la mossa decisiva. Noi sapevamo che suo figlio era direttore di FonSai quindi avevamo capito che c’era forte interesse a sottrarci la Torre. E’ molto importante provare ad aprire questa lotta con un dibattito culturale utile a tutti sul valore delle proprietà private che rappresentano un vuoto per quanto riguarda la capacità di utilizzo del tessuto sociale. Quello che avevamo toccato con mano con Torre Galfa e la questione Ligresti è che c’è una specie di valore simbolico e affettivo nello sgomberare cittadini che occupano proprietà private, ma c’è anche un interesse a costruire dei vuoti in città. Le proprietà dell’ex-colorificio come di Torre Galfa hanno interesse a tenere questi spazi vuoti anche dal punti di vista della valorizzazione finanziaria, quindi ci sono due concezioni diverse in cui il diritto vigente è arretrato e va reinventato. Non è possibile che abbiamo delle città in cui a macchia di leopardo molto del tessuto urbano è mantenuto vuoto in una logica che non serve al tessuto sociale. Capire come si fa ad invertire questa tendenza deve essere una sfida un po’ per tutti.”

Un membro del centro sociale ZAM di Milano

“Noi viviamo in una città in cui gli spazi abbandonati sono moltissimi e ZAM arriva da uno sgombero recente quindi possiamo assolutamente capire lo stato d’animo dell’ex-colorificio di Pisa, con cui siamo solidali. Il fatto che vi siano tutti questi spazi inutilizzati è sintomatico di politiche scellerate da parte delle amministrazione di varie città. Quando si va a costruire il nuovo avendo già del vecchio che non viene valorizzato ed è lasciato all’incuria, c’è qualcuno che non vuole dialogare e lasciare la possibilità alla cittadinanza di costruire qualcosa di nuovo. Non vuole dare alle persone la possibilità di tirarsi fuori dalle logiche che dominano il sistema. Da parte nostra esprimiamo grande solidarietà e vicinanza a voi compagni e speriamo sia presto possibile rientrare nell’area dell’ex-colorificio. E’ importante che la solidarietà superi i confini cittadini in casi come questo in cui la proprietà è nell’area milanese, per allargare queste lotte in maniera proficua e intelligente. Nel momento in cui si riesce a trovare una congiuntura, questa riesce a dare la forza e la spinta per ottenere risultati in un’esperienza come la vostra con indubbio valore sociale.

Una rappresentante di Tilt – Milano

Grazie per essere venuti a portare queste rivendicazioni importantissime in una città come Milano che sente molto il problema degli spazi sociali, degli spazi comuni e della gestione comune del territorio e dei suoli. Siamo qui a portare aiuto e solidarietà a Rebeldia, realtà che conosciamo da anni e a cui siamo sempre stati vicini sia per i temi che per le pratiche.

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