La solidarietà al centro della festa regionale. Seduta solenne a Palazzo Panciatichi

foto d'archivio

Nella seduta solenne per la Festa della Toscana dedicata a “una comunità: mille voci”, c’è n’è una, di voci, che il presidente Alberto Monaci evoca a più riprese, e rende protagonista del suo intervento. È quella degli ultimi. Ai figli disgraziati della crisi “che aggredisce strati sociali finora impensabili”, il presidente del Consiglio regionale dedica non solo idealmente l’edizione 2013 della Festa del 30 novembre. Ospite e relatore della seduta solenne in palazzo Panciatichi, infatti, è il vice direttore della Caritas Italiana Francesco Marsico, che sostituisce il direttore, Monsignor Francesco Soddu.

Al centro dell’emiciclo della sala del Consiglio una poltrona vuota, con il manifesto “Posto occupato” e un drappo che ricordano la mobilitazione contro la  violenza alle donne; fuori dell’aula i manifesti e il materiale informativo della colletta alimentare, l’altra iniziativa a cui il Consiglio ha aderito e che si svolge oggi in tutta Italia, in soccorso a chi ha bisogno di aiuto alimentare.

La Festa che ogni 30 novembre celebra l’abolizione della pena di morte voluta dal granduca Leopoldo, quest’anno in particolare si svolge in “un contesto economico e sociale difficile”, ricorda il presidente. È una Festa “certo ridimensionata nei costi, perché diversamente non sarebbe possibile e soprattutto giusto”, ma comunque celebrare un atto di civiltà “non può essere lo sfizio di un’istituzione, ma l’obbligo cui essa deve adempiere”. Anche in rappresentanza di quella voce che, “tra mille, spesso non sentiamo perché non trova spazio nei mezzi d’informazione: quella dei poveri, degli emarginati”.

Pur in presenza “di servizi di buon livello”, mutamenti demografici e tagli ai finanziamenti pubblici si fanno sentire anche nella nostra regione.

La povertà agguanta soprattutto “famiglie fragili e persone sole, nuclei che faticano a mantenere la casa e ad arrivare a fine mese”. La Toscana in questo ha un elemento di forza che viene dal nostro contesto, rappresentato dal senso di comunità e dalla responsabilità comune verso gli altri, “il cosiddetto capitale sociale che non va disperso, ma curato e rafforzato”, dice Monaci. La chiave sta “nella garanzia pubblica dei diritti sociali”, nella centralità della persona e del ruolo della famiglia, nella “sussidiarietà circolare tra amministrazioni pubbliche, terzo settore e imprese”, per arrivare a un “patto di comunità su qualità della vita, sicurezza, promozione sociale e contrasto alla povertà”.

La povertà è insomma tornata drammaticamente attuale, così come nel secondo dopoguerra, quando era devastante; “non ce ne vergognavamo ieri e non c’è da vergognarsene oggi”. Monaci cita quanto detto dal Pontefice recentemente, riferendosi alla Caritas Italiana  - “la forza della comunità cristiana è far crescere la società dall’interno” -. Le istituzioni, continua il presidente, devono “ricominciare a seminare speranza”, perché, come diceva Paolo VI “la Politica è una forma alta di carità”. Nelle nostre assemblee legislative, “possiamo e dobbiamo rimettere al centro del dibattito i temi che non hanno richiamo, ma che nel loro silenzio assordante urlano alle coscienze di ognuno”. Le scelte devono venire a corredo, sulla scorta però della vera, grande questione: “superare l’assioma per cui bisogna separare la sfera economica e sociale”. Meglio: “La crescita economica non è affatto sinonimo di sviluppo”, e “lo sviluppo umano è un processo ben diverso dall’aumento del Pil”. L’idea secondo la quale “da un lato c’è l’efficienza economica, dall’altro i non efficienti e cioè la sfera del sociale, che ha come obiettivo la solidarietà”, è un portato della modernità che va superato. Insomma, di qua il mercato efficiente, di là lo Stato con la solidarietà è “una contraddizione”, un “modello che ci ha frastornato”. Ora “bisogna ribaltare tutto ciò e far sì che l’efficienza sia legata alla solidarietà e viceversa”.

In questo senso un input importantissimo arriva dalla contemporaneità più stretta. “I giovani di oggi sono Toscani, Italiani e al contempo Europei”, sono le generazioni di chi viaggia da un Paese all’altro; studia qui o in altri Paesi europei continuando a sentirsi ovunque a casa propria. “Diventando più Europei non si sentono sicuramente meno Italiani o Toscani” – dice Monaci -, perché “un'identità più complessa è anche una comunità più ricca e più forte”.

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