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Patologia nodulare della tiroide: nuove prospettive con la termoablazione a radiofrequenza

Salvatore Mazzeo

La tecnica, alternativa alla chirurgia, viene sperimentata all'Aoup con successo da un anno e mezzo

Si chiama termoablazione a radiofrequenza ed è una procedura che a Pisa si sperimenta con successo da circa un anno e mezzo, nell’Unità operativa di Radiodiagnostica 1 universitaria dell’Aoup (direttore, Prof. Carlo Bartolozzi), finalizzata al trattamento di patologie nodulari tiroidee. Si tratta di una novità dal momento che finora la termoablazione - tecnica assai diffusa in campo oncologico ed effettuata nell’ambito delle attività della radiologia interventistica, per curare alcuni tipi di neoplasie di organi interni, specie del fegato – non aveva ancora trovato adeguata applicazione a livello dei tessuti superficiali come la tiroide. La tecnica consiste nell’introdurre all’interno delle lesioni, sotto guida ecografica, aghi dedicati che trasmettono onde a radiofrequenza le quali, a contatto con i tessuti, sviluppano elevato calore, con risultati terapeutici soddisfacenti in termini di necrosi cellulare e quindi di riduzione volumetrica della lesione stessa.
Solo un ristretto numero di pazienti è candidabile a questo tipo di procedura – spiega il Dr. Salvatore Mazzeo , il radiologo referente per questo tipo di tecnica - dal momento che la chirurgia, resta sempre la prima scelta terapeutica. Ma esistono alcuni casi di neoplasie tiroidee, sia benigne che maligne, in cui la termoablazione può essere una valida alternativa terapeutica alla chirurgia. Nell’ambito delle lesioni maligne i pazienti candidati a tale terapia sono soprattutto quelli che sviluppano recidiva neoplastica a livello del collo, inoperabili o comunque non trattabili con altre strategie terapeutiche quali la chemioterapia o quella radiometabolica. Per la patologia nodulare benigna la termoablazione è riservata in primo luogo a quei pazienti con gozzo nodulare, sintomatici che, causa deviazione e compressione sulla trachea o sull’esofago, presentano controindicazioni all’intervento chirurgico (cardiopatici, etc).
Oppure pazienti affetti da gozzi voluminosi, specie monolaterali, con marcata deviazione della trachea, che non possono usufruire della chirurgia per impossibilità ad effettuare l’intubazione; in questi casi la termoablazione riduce il volume della massa e, di conseguenza, anche l’effetto compressivo. Un gruppo più ristretto è rappresentato poi dai pazienti che rifiutano comunque l’intervento chirurgico o da quei casi di patologia nodulare che si accompagna ad ipertiroidismo, nei quali la termoablazione può essere proposta in alternativa ai trattamenti radiometabolici.  Ad oggi sono già 20 i casi effettuati con questa tecnica innovativa, tutti inseriti in un percorso di follow-up (controllo a distanza) che sta dando risultati soddisfacenti. La tecnica, importata dai Paesi asiatici – in particolare la Corea dove, per ragioni culturali, è salvaguardata l’integrità del collo tanto che, per la chirurgia della tiroide si procede ad un accesso ascellare -  viene praticata a Pisa e in pochi altri centri in Italia (edm).
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