Secondo Capitolo per i Diari Migranti. La storia di Cheikh

Cheikh

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“Mi chiamo Cheikh e vivo a Pontedera con mia moglie. Ho 53 anni, ma la gente mi dice sempre che non dimostro la mia età”. Cheikh è nato a Dahra, una città che si trova a circa 250 km da Dakar: “All'età di 12 anni mi sono trasferito a Louga, capoluogo della regione omonima, per poter frequentare il liceo e qui ho vissuto quattro anni, dopo la promozione ho frequentato ancora un'altra scuola che mi ha consentito di diplomarmi in ragioneria. A questo punto mi sono iscritto alla facoltà di Economia e Commercio dell'università di Dakar. Contemporaneamente frequentavo l'Istituto di cultura italiana per imparare la lingua e qui mi è stata offerta una borsa di studio che mi avrebbe consentito di proseguire in Italia i miei studi universitari. In particolare mi interessava proseguire gli studi in Gestione bancaria presso l'università di Macerata. Avevo voglia di venire in Europa e proseguire l'università all'estero mi sembrava la scelta giusta”.

L'Italia. Al liceo Cheikh ha imparato a conoscere l'Italia e la sua storia:“Tramite i libri sapevo tutto dell'Italia. Per me questo paese non era un mito ma il luogo dove poter studiare, laurearmi per poi poter tornare a lavorare nel mio paese”. Purtroppo due settimane prima della partenza il padre di Cheikh muore: “La morte di mio padre mi ha lasciato in uno stato di profondo disagio e confusione, mi sono sentito disorientato. Ho perso il primo volo, poi finalmente sono riuscito a partire. Sono arrivato in Italia il 5 ottobre del 1992 e ho subito raggiunto in treno Macerata. Dopo un breve soggiorno mi sono reso conto che le condizioni per la mia permanenza lì non erano ottimali. Mancavano i mezzi necessari, soprattutto i soldi per poter studiare tranquillamente. Poichè ero in contatto diretto con un amico che viveva a Pontedera, mi sono detto che era il momento di lasciare gli studi e capire cosa avrei potuto fare. Ero ancora molto confuso dopo la morte di mio padre”.

Cheikh

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L'arrivo a Pontedera. “All'università di Dakar frequentavo i corsi con un caro amico che conoscevo da tanti anni. Suo fratello viveva a Pontedera dal 1986 e faceva parte di quel gruppo di senegalesi che per primi sono arrivati qui. Trasferendomi a Pontedera avevo due alternative, o trovare lavoro in qualche azienda, oppure prendere la borsa”. Prendere la borsa, è così che dice Cheikh per spiegare il lavoro che gli ha consentito di vivere i primi mesi in Italia: “Siccome il visto che avevo non mi permetteva di lavorare con un contratto regolare, ho fatto per otto mesi il venditore ambulante. Ho così cambiato strada: lasciando gli studi ho iniziato infatti quel percorso che è tipico di tanti immigrati, come venditore prima e poi come operaio. Dopo qualche mese ho avuto la fortuna di trovare lavoro presso un'azienda di Bientina e dopo un paio di anni presso un'altra azienda metalmeccanica vicino a Pontedera, dove sono rimasto quasi 14 anni. Qui ho imparato un mestiere, lavorando prima alla pressa e poi come saldatore”.

A Pontedera ho trovato il Senegal. “Quando sono partito per venire in Italia ho portato con me poche cose, qualche libro, i vestiti e poco altro. Arrivato a Pontedera è stato come trovare il Senegal. Abitavo con persone senegalesi, parlavamo senegalese e mangiavamo alla senegalese. Tramite gli amici mi sono integrato subito, anche grazie al fatto che non avevo problemi di lingua perchè l'italiano lo avevo studiato all'università”.

La clandestinità, poi finalmente il permesso di soggiorno. “Non avendo potuto proseguire gli studi non avevo rispettato i motivi per cui mi era stato concesso il visto per il mio soggiorno in Italia, così quando è scaduto non mi è stato rinnovato. Sono diventato un clandestino e sono rimasto quasi tre anni in questa condizione prima di riuscire a regolarizzare i documenti con la sanatoria della legge Dini del '96. Finalmente ho potuto avere il mio permesso di soggiorno, essere 'in regola', sentirmi come tutti gli altri. Questo è stato molto importante perchè mi ha dato la possibilità di tornare in Senegal, di poter partire quando volevo, quando avevo le possibilità economiche per farlo.” Essere in regola con i documenti ha permesso a Cheikh anche di migliorare nel suo lavoro, consentendogli di frequentare un corso di informatica tramite i finanziamenti della Comunità Europea.

Il ritorno in Senegal. “Sono tornato in Senegal nel 1996, dopo tre anni e otto mesi da quando ero partito. E' stato molto duro stare lontano per così tanto tempo e la nostalgia per i parenti, per mia moglie e mio figlio e stata forte”. Mi stupisco che Cheikh non avesse ancora raccontato di essersi sposato e di aver avuto un figlio prima della sua partenza per l'Italia, provo a fare qualche domanda in più, ma capisco che su questo è molto riservato e così non insisto. “Quando sono tornato in Senegal – prosegue - ho avuto la sensazione di aver perso il filo, tutto mi appariva diverso, perchè dopo una lunga assenza trovi tanti cambiamenti. Ma dopo un primo impatto un po' difficile mi sono sentito nuovamente a casa, tanto che ho quasi dimenticato di dover tornare in Italia. Sono rimasto in Senegal quasi 6 mesi e da quella volta sono tornato ogni anno, alcune volte anche due volte in un anno, a seconda delle possibilità economiche”.

Ho preferito che mio figlio rimanesse in Senegal”. Alla fine Cheikh acconsente a parlare della sua famiglia: “Mia moglie mi ha raggiunto in Italia nel 2004, mentre mio figlio è rimasto in Senegal. Ho preferito così perchè in Italia non vengono riconosciuti i titoli di studio conseguiti in Senegal. Io, per esempio, sono diplomato in ragioneria ma qui non conta nulla. Se prendi una laurea in Senegal e vieni a lavorare in Italia, la tua laurea non vale nulla. Le regole del gioco non sono le stesse. Sul piano della cooperazione se ci fossero degli accordi tra Senegal e Italia allora le cose potrebbero andare diversamente.”

L'associazione Senegal Solidarietà. “Sono stato il primo presidente dell'associazione Senegal Solidarietà – racconta Cheikh mostrandomi una targa di riconoscimento con sopra inciso il suo nome. “L'attività dell'associazione è stato un ponte tra la comunità senegalese, le autorità amministrative e la cittadinanza. E' un lavoro che mi è piaciuto molto perchè per i senegalesi che vivono qui l'associazione è come una casa. Tramite l'attività dell'associazione siamo riusciti a costruire un rapporto con la città ed è stato lo strumento che ha consentito alla comunità di far sentire la propria voce e di portare avanti piccole rivendicazioni presso le amministrazioni locali. Grazie alla mediazione dell'associazione con le agenzie immolbiliari molti senegalesi hanno trovato una casa. Senegal Solidarietà ha sempre supportato i più deboli, consentendo a chi non ne aveva la possibilità di curarsi e a coloro che hanno avuto il destino fatale di morire qui di far tornare in Senegal la salma, pur se non ne avevano i mezzi. Senegal Solidarietà è stata anche un punto di riferimento per le altre comunità di immigrati, insieme abbiamo tracciato un cammino che ci ha condotti ad una buona integrazione”.

Un nuovo lavoro. “Quando ho cominciato ad avere problemi di vista mi sono detto che la salute era la cosa più importante. Ho così deciso di lasciare dopo quattrordici anni il lavoro di saltatore perchè fare questo mestiere non era più compatibile con i miei problemi agli occhi. Ho così trovato un altro lavoro meno rischioso anche se a tempo determinato. E' poi cominciata una nuova avventura: nel 2005 è nata una cooperativa di cui sono il segretario generale, formata da senegalesi che vivono in Italia e hanno l'ambizione di costruire delle case in Senegal attraverso contributi mensili. Ogni immigrato ha il sogno di riuscire a costruirsi una casa nel suo paese di origine, ma per farlo serve un terreno, un costruttore e il finanziamento di una banca. Per fare tutto questo abbiamo creato una cooperativa gestita da senegalesi per i senegalesi”.

Tornare definitivamente in Senegal. “Il mio progetto è di tornare a vivere definitivamente in Senegal. Il tempo passa, la vecchiaia si avvicina, ti manca il tuo paese e hai voglia di tornare alla tua casa di origine. Credo che l'immigrazione debba essere un percorso, per poi tornare a fare qualcosa di buono nel tuo paese. Per me è così. Nel mio futuro vorrei portare un contributo allo sviluppo del Senegal, aiutare mio figlio a fare qualcosa di importante. Io ho già programmato il mio ritorno, non voglio dire quando sarà, ma è già stato tutto programmato”.

Poi il pensiero ritorna al passato, ai primi tempi trascorsi in Italia: “Ricordo che quando sono arrivato nel 1992, a Pontedera vivevano pochi senegalesi e abitavano tutti nella stessa casa. ”. Mentre parla lo sguardo di Cheikh si fa lontano, un po' malinconico. Forse il pensiero va al lungo cammino percorso: “Erano solo otto, ora siamo più di mille senegalesi...”.

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DI.M.MI. Diari Multimediali Migranti è un Concorso regionale per la raccolta e la diffusione di testimonianze autobiografiche dei cittadini stranieri, è un progetto finanziato dalla REGIONE TOSCANA con l’obiettivo di sensibilizzare e coinvolgere i cittadini sui temi della pace, della memoria e del dialogo interculturale, creando inoltre un fondo speciale di diari migranti.

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Chiara Martina

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